Etica e zootecnica. Così fan tutti.
Cosa lega l'argomento etico a quello zootecnico?
Dovrebbe essere scontato che appassionati, allevatori, dirigenti di una società che tutela la razza, si muovano, in un ambito amatoriale, animati dal comune interesse per il bene del pastore tedesco.
Per questo allevare, addestrare, gestire la società in vari ruoli, partecipare alle competizioni, dovrebbero essere attività che i soci SAS esercitino per hobby, svincolati da interessi economici o, almeno, quand'anche la passione per il pastore tedesco sia per alcuni divenuta professione, in questo lavoro non dovrebbe mai venire meno lo spirito iniziale per cui si è iniziata questa attività, che non è quasi mai, almeno in partenza, soltanto quello di “fare soldi”.
Gli interessi principali dovrebbero essere l'amore per i cani e quello per la razza.
La scala delle priorità è fondamentale.
Se ad essere primario è il benessere del cane e l'amore per la razza, allora, si tratti di hobby o di lavoro, alcuni comportamenti non possono trovare posto.
Se ad essere primario è il risultato in ring, allora la morale viene di volta in volta adattata alle esigenze, con aggiustamenti che hanno vari gradi, ma che finiscono inevitabilmente per allontanare dall'obbiettivo (il pastore tedesco) e dalle motivazioni che ci hanno fatto scegliere questa passione.
Certo, non tutti gli espositori dimenticano che il cane deve essere centrale e che è un essere vivente. Ma quand'anche si rispettino i cani e quindi si evitino di far gareggiare soggetti con problemi fisici, magari riempiendoli di antidolorifici, si eviti di utilizzare doping per aumentare artificialmente le masse muscolari o doping per consentire migliori prestazioni e resa durante la gara, quando non si facciano indossare strani collari con chiodi posizionati sotto il collo per tenere alta la testa, quando non si sottopongano i soggetti tendenzialmente apatici a trattamenti d'urto per “convincerli” a camminare, quando vi sia attenzione ai bisogni e alle esigenze del cane e si eviti di fargli fare una vita fatta esclusivamente di box e ring, quando non si gettino come scarpe vecchie quei cani che non sono più in grado di ottenere risultati....quando si faccia tutto questo, non bisogna però dimenticare che amare la razza significa anche non tradire lo standard.
E allora, il nostro amato cane, non è detto che debba, per forza, essere vincente. Se caratterialmente non ha le doti di un pastore tedesco, se è troppo grande, se presenta problemi di costruzione che lo allontanino dalla bellezza funzionale, allora il nostro amore per la razza dovrebbe non farci venire nemmeno la tentazione di aggiustare le carte e di raccontarci che il cane bello è il cane che fa risultato.
In cinologia il bello non è ciò che piace, ma ciò che funziona. Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Lo standard di razza non è adattabile e plasmabile a seconda delle nostre esigenze, dei nostri gusti estetici, dei cani che produciamo in quel momento. Lo standard di razza è chiaro e stabilisce dei parametri che non sono frutto di un capriccio di qualche folle esteta vissuto tra l'ottocento e il novecento. Il cane di razza non è una macchina, che le conoscenze tecniche possono migliorare e modificare, che deve adattarsi alle esigenze dei nuovi impieghi e alle esigenze di un mercato in espansione. Le cose che si possono (si dovrebbero) migliorare grazie alle acquisite conoscenze scientifiche, sono lo studio delle malattie a trasmissibilità genetica e tutto quanto possa aumentare la qualità di vita del cane e il suo benessere (e il cane di razza, di cui si ha una maggiore conoscenza genetica, potrebbe fornire materiale di studio utile per tutti i cani).
Quindi parlare di cani antichi e cani moderni non ha molto senso. E' vero che i pastori tedeschi dell'epoca di von Stephanitz non erano certo paragonabili a quelli di oggi, ma è altrettanto vero che lo standard stabiliva, allora come oggi, un traguardo ideale da raggiungere. Pertanto, allora come oggi, deve essere sempre e soltanto lo standard l'obbiettivo di ogni allevatore o espositore. E se è pur comprensibile il privato con il proprio cane che lo vede comunque “bellissimo” per affezione e per scarsa conoscenza, assai meno comprensibili sono coloro che allevano e, soprattutto, coloro che dirigono, a vari livelli, la società che tutela la razza, in particolar modo i giudici. E' compito della società di razza e dei giudici diffondere cultura cinofila, far comprendere al privato che si trova all'ultimo posto di un'esposizione per quale motivo il suo amatissimo cane si trovi ultimo e quali siano i difetti che presenta e lo rendono diverso dal primo classificato. E' compito della società di razza fare in modo che l'alibi del “il mio cane non ha vinto perchè non sono nel giro giusto” non possa, confrontato alla realtà dei fatti, reggere. Perchè, se è vero che il cane che si classifica in ultima posizione molto spesso merita quella classifica, è altrettanto vero che il mondo delle esposizioni stesso manca di chiarezza, di competenza e , quel che è peggio, di onestà intellettuale (e , ahinoi, non solo). Ciò rende impossibile non esporsi a critiche. Raccontarci che le critiche sono populiste, fatte da ignoranti o da chi trae vantaggio a gettare fango sul mondo SAS, non è una giustificazione per un mondo che vive di risultati, senza rispetto né per l'etica né per la zootecnica.
Se non vogliamo rinunciare alla natura di “gara” delle competizioni zootecniche, almeno spieghiamo (ed insegnamo) al piccolo appassionato come un cane vada preparato, allenato, presentato, insegnamo che la preparazione incide sul risultato in gara, visto che il giudice ha solo quei pochi attimi per valutare al meglio un soggetto e che quindi, è naturale che accada che bravi preparatori possano avere risultati migliori. Però evitiamo che il piccolo appassionato possa assistere a scene di espositori e/o organizzatori che chiacchierano amabilmente con il giudice all'interno del ring mentre vengono presentati i loro cani, evitiamo che le regole (taglia, correttezze, carattere) vengano disattese quando ci sono cani famosi o di allevatori e presentatori famosi e puntualmente richiamate per i cani dei “signor nessuno”. Evitiamo che un piccolo appassionato, per imporsi in un ring, debba avere un cane così bello da rendere evidente il suo piazzamento agli occhi di tutti, mentre i soliti noti riescono ad ottenere risultati anche con cani di mediocre qualità. Evitiamo che il piccolo appassionato si trovi a bordo ring ad ascoltare alcune conversazioni tra i personaggi famosi, che lui considera quasi dei miti (allevatori, espositori, talvolta anche giudici) in cui l'argomento sono le pressioni messe a quel giudice da parte del tale personaggio di spicco, gli accordi per le comproprietà dei cani, racconti di brevetti falsi , lastre truccate e quant'altro. Evitiamo tutto questo ed insegniamo all'appassionato medio come debba essere fatto un pastore tedesco, aiutiamolo a crescere.
E diamo una bella ripulita al nostro mondo prima di permetterci di criticare, sbeffeggiare e sottovalutare il semplice appassionato che, di questo mondo, con tutte le sue contraddizioni e corruzioni, non ha mai fatto parte.
Altrimenti quello che accadrà (e che sta accadendo) sarà di vedere in ring sempre le stesse facce, quelle stesse persone di sempre, ormai tutti così abituati alle deroghe e alle violazioni non solo da non indignarsi, ma da non ritenerle più nemmeno tali.
E i pochi nuovi che riusciranno ad entrare in questo mondo saranno soltanto quelli disposti ad adeguarsi al “così fan tutti”.
Daniela Dondero e Leandro Falaschetti, 16 aprile 2010
Appendice del 19 aprile. Citazione, quanto mai inerente, da quanto visto questa sera, in un servizio del TG delle 20. "La verità di Luciano Moggi":
"La sudditanza psicologica è nata quando è nato il calcio. Esisteva ed esiste ancora. E' chiaro che gli arbitri non lo fanno apposta. Quando c'è qualcosa di incerto, sicuro non danno a favore di una squadra piccola, se la squadra piccola incontra una squadra grande. Su questo non c'è dubbio." Luciano Moggi.
No comment. Come diciamo da sempre: "fotografare la realtà non significa condividerla." Il così fan tutti è troppo spesso un alibi per celare gli errori. Nel calcio come in cinofilia. |