Gebrauchshund. Perchè il pastore tedesco è un cane da lavoro
In uno scritto recente sul Notiziario online SAS, Piero Alquati scrive:
“L'attuale immagine morfologica di un pastore tedesco è il risultato di un'idealizzazione che forse avrebbe trovato pieno riscontro nelle esigenze dell'impiego nei tempi passati. Purtroppo la selezione comporta tempi lunghi e l'anatomia ideale per un trottatore resistente raggiunta sarebbe servita ai cani conduttori del gregge di oltre 100 anni or sono, mentre questo impiego fu soddisfatto da soggetti dotati di carenti impianti angolari.
Tanto vale anche nella selezione del carattere e, quando ci si riempie la bocca per far vanto della propria enfasi di un'immacolata competenza e di un'integrità morale ed intellettuale di un pensiero selettivo, si scrive che un cane deve essere, come affermava Max v. Stephanitz, un cane da lavoro ma nessuno pensa che il lavoro al quale alludeva Max v. Stephanitz oggi non esiste più.
Il lavoro al quale alludeva Max von Stephanitz non esiste più.
Ma siamo sicuri che l'intento del Rittermeister fosse quello di creare dei cani da gregge?
Non diremmo proprio. Von Stephanitz pensava ad una razza totalmente nuova, che raccogliesse in sé quanto di meglio dalle varie razze da pastore allora esistenti. Il suo intento non era certo quello di costruire un nuovo “cane da pastore” che i contadini tedeschi potessero utilizzare per la conduzione delle greggi.
Il pastore tedesco, nelle intenzioni dei primi allevatori della razza e di von Stephanitz che rese il loro lavoro organico, coordinandolo e valorizzandolo, nasceva in un periodo (fine ottocento-primi novecento) di cambiamenti tecnologici e sociali.
Leggiamo proprio Alquati in proposito: “il ritmo della vita andava trasformandosi sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche che aprivano la strada alla cultura industriale: anche il destino dei cani da pastore stava cambiando. Gli spostamenti divenivano più rapidi, le risorse economiche provenivano da nuovi tipi di commercio, una civiltà sistematica comportava l'avvio verso il razionale; l'abbandono dello spontaneo fece sì che insorgesse il pensiero di fondere le diverse varietà di cani da pastore per crearne una nuova, non tanto per ottenere un miglior conduttore delle greggi o un più valido guardiano della casa, ma per ricavarne un animale più elegante e più piacevole nel quale venissero limate le spigolosità di carattere di una varietà con l'affabilità e la miglior socializzazione dell'altra. Gli allevatori di quei tempi intuirono che si poteva produrre un cane da pastore, sono allora adatto a vivere sopportando la vita contadina dei tempi passati, che potesse divenire un animale atto a condividere anche la vita nelle case dei più abbienti cittadini e, con la sua immagine elegante ed austera, nobilitare i loro giardini. (Piero Alquati. 40 anni di selezione in Italia e Germania, vol 1. pg 5)
Morfologicamente doveva mantenere la struttura idonea alla conduzione del gregge non perchè quello dovesse esserne il suo impiego, ma perchè in quella costruzione si coglieva tutta l'armonia, l'eleganza, la distinzione, l'equilibrio delle forme, uniti a robustezza, vitalità, resistenza. La costruzione del trottatore che, dice von Stephanitz, il pastore tedesco ha ereditato dal canide selvatico (“il nostro pastore tedesco è quello che più ha conservato la struttura originaria dei suoi antenati selvatici, così adatta ad un trotto resistente e, in caso di necessità, anche al galoppo. Il nostro scopo principale è quello di mantenere, nell'allevamento, le buone proporzioni e le qualità dove esse sussistono e migliorare le deficienze” e ancora:“ quell'andatura apparentemente senza sforzo eppure così efficiente, che affascina qualsiasi attento osservatore. Un cane da pastore tedesco costruito bene avrà un incedere sciolto e fluido che un bicchiere pieno d'acqua assicurato sul suo dorso non perderà che qualche goccia” Max von Stephanitz, Il giudizio del cane da pastore tedesco, Ed. Cinque).
Allo stesso modo le caratteristiche caratteriali dovevano essere il compendio delle migliori qualità caratteriali presenti in un cane per la conduzione del gregge, che svolgeva funzioni di guardiano e che viveva anche con la famiglia. “Il suo carattere deve presentarsi sicuro, franco, impavido, attento e desto, mai nervoso, ipersensibile, debole o timido. [...]L'occhio non deve mai esprimere cattiveria e malignità, né irrecuperabile selvatichezza e neppure sonnolenza e abulia oppure timore.” (Max von Stephanitz, Il giudizio del cane da pastore tedesco, Ed. Cinque)
Insomma, von Stephanitz, innamorato di alcune caratteristiche dei cani da pastore tedeschi, vuole costruire una razza che riassuma in sé il meglio, ma comprende con altrettanta lucidità che quelle caratteristiche morfologiche e caratteriali che ama sono state generate dagli impieghi originari di questi cani. Quindi, per non perdere tali pregi, si dovrà sempre selezionare il pastore tedesco come un cane da lavoro. Non perché lo si debba destinare a quel lavoro, ma perchè la selezione per quel lavoro ha permesso e permetterà in futuro il fissarsi di una costruzione anatomica e di qualità caratteriali ben precise.
Infatti, la frase di von Stephanitz che abbiamo riportato in coda al nostro articolo su “Il massacro di San Valentino”, dice testualmente: "Der deutsche Schäferhund ist als vielseitiger Gebrauchshund zu züchten" che non significa tanto che il cane da pastore tedesco è un cane da lavoro, quanto che deve essere allevato come un cane da lavoro “vielseitiger” adattabile a vari impieghi.
E tanto era consapevole von Stephanitz che il cane che la Philax prima e la SV poi stavano cercando di costruire sarebbe stato destinato a scopi diversi da quelli di cane da gregge (non solo quello militare, ma anche quello di compagno di vita) che “previde, con impressionante lungimiranza, che, con l'evolversi dei tempi, quei cani da pastore, senza la pressione di una selezione spontanea rustica ed utilitaria, avrebbero potuto, per mano non disinteressata degli allevatori, essere vittime di svariate degenerazioni morfologiche e caratteriali. (Piero Alquati. 40 anni di selezione in Italia e Germania, vol 1. pgg. 5-6)
Per questo è così importante mantenere, nella selezione del pastore tedesco, lo standard come costante punto di riferimento e non le richieste di mercato.
Altrimenti non selezioneremo più pastori tedeschi, ma un'altra razza. E questo vale per la morfologia così come per il carattere.
E' curioso. Il settore “bellezza” obbietta che il pastore tedesco non può più essere considerato un cane da lavoro come lo intendeva von Stephanitz e poi giustifica la costruzione morfologica, spiegando a chi ritiene gli angoli del pastore tedesco troppo accentuati, che quella inclinazione della groppa e quegli angoli posteriori sono i più funzionali per un trottatore su grandi distanze e su terreni non impervi quale deve essere il cane da pastore tedesco come conduttore di greggi.
Il settore “lavoro” invece sottolinea l'importanza di non avere cani con angoli posteriori accentuati e groppe troppo inclinate, adducendo come spiegazione che il pastore tedesco non fa più il cane da pastore, mentre pretendono di considerarsi come gli unici custodi del lavoro di von Stephanitz perchè preservano, del pastore tedesco, le caratteristiche iniziali di un cane da lavoro.
L'impressione è che una selezione del pastore tedesco che abbia le basi nel suo impiego originario venga invocata o rinnegata a seconda delle convenienze.
Invece lo standard è chiaro. Ci sono dei parametri, sia morfologici che caratteriali. Parametri che sono stati elaborati a partire dalla selezione spontanea operata sui cani da pastore e scelti a creare un cane che fosse, come la celebre definizione del Gorrieri, “il Leonardo da Vinci dei cani”.
Ogni volta che si devia dallo standard, sia da un punto di vista morfologico che caratteriale, ci si allontana dal pastore tedesco.
Nessuno vuol fare del moralismo cinofilo, non ci sarebbe nulla di sbagliato nel creare una nuova razza da UD unendo alcune caratteristiche utili per uno scopo, o una nuova razza da compagnia con un accattivante vestito lupoide. Solo si abbia l'onestà intellettuale di chiamare le cose con il proprio nome e di non arrogarsi la pretesa di selezionare pastori tedeschi.
Siamo assolutamente disposti a discutere dei danni provocati dalle derive agonistiche, ma non riusciamo a comprendere perchè si vogliano cambiare regole giuste, solo perchè non siamo capaci di applicarle correttamente. Se ci sediamo ad un tavolo dove si gioca a brigde non possiamo pretendere di applicare le regole del poker.
Anni fa qualcuno scrisse che lo standard era “un'entità astratta”(un'idealizzazione?).
Condividiamo in pieno le parole che Piero Alquati , sgomento (il termine è suo) per quella frase, scrisse allora:
"Forse si preferisce ritenere tale -(cioè un'entità astratta n.d.r.)- lo standard (e sono in molti a pensarla così) per far sì che diversi criteri selettivi della razza debbano comunque essere dichiarati ottimali, quando lo sia conveniente;"(Piero Alquati, Idee per un rinnovamento dell' organico SAS nell'ottica del 2000, Work Dogs n°21, aprile 1992.)
Daniela Dondero e Leandro Falaschetti, 6 marzo 2010
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