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Dominanza.....intanto un "bravo" a chi ha dato questa definizione.
Derivante dal latino Dominus, ossia padrone di casa o signore.
Questo indica con precisione quello che si intende, in ambito cinologico, il complesso di comportamenti che il capobranco attua in modo naturale nei confronti di sottoposti.
La dominanza non è certo l'atteggiamento aggressivo contro cosimili se questi non mettono in discussione la leadership.
Il dominante gestisce ogni situazione commisurando sempre le risposte in rapporto alla situazione stessa.
In ambito dell'antica marineria era il capitano che aveva ogni potere, anche di vita o di morte, ma che affondava con la nave o comunque era l'ultimo ad abbandonarla.
In breve non è autoritarismo ma autorevolezza.
Il vero dominante è tacitamente riconosciuto tale, non deve dimostrarlo, se non di fronte ad un suo pari grado.
Si dice anche "dominare gli eventi" non nel senso di imporsi ad essi, ma nel senso di gestirli.
Un individuo viene allontanato dal branco fondamentalmente per due motivi.
1° o è anch'esso dominante ma ha perso col capobranco, per cui deve o sottomettersi o cercare di fare un branco proprio.
2° la sua presenza nel branco indebolirebbe il branco stesso.
Le motivazioni in natura si basano su leggi fortemente selettive e il nostro modo etico di analizzare spesso ci fa sembrare fuori luogo le reazioni più consequenziali.
In uno scontro fra lupi se l'ira fosse la dominante e non i freni inibitori, il perdente morirebbe sempre per mano, o meglio bocca, del vincitore.
Questo non accade mai, anche se qualcuno può morire poi per le ferite, non sarà mai il vincente a dare il colpo di grazia.
La cosiddetta ira di un dominante non trascende mai, pena l'indebolimento dei rapporti coi subalterni.
Guardando il comportamento fin da cuccioli che li vede impegnati in lotte rituali ma nelle quali già si vede una certa gerarchia, sarei propenso a ritenere la dominanza come data da più fattori quali la predisposizione e la possibilità a che questa si sviluppi.
Resta comunque una scalata che porta alla formazione caratteriale e che ha i suoi scalini da superare.
Ho notato che i soggetti che maggiormente si integravano nel gruppo accettando il proprio ruolo lungo la crescita, si sono poi rivelati i più dominanti.
Gli atteggiamenti infantili inibitori dell'aggressività degli adulti erano attuati proprio da quei soggetti che poi sarebbero divenuti Leaders.
Penso che la capacità di riconoscere i ruoli sia alla base della scalata gerarchica.
I subalterni invece subiscono la loro posizione, gli omega sono infatti i meno affidabili in rapporto agli umani.
Credo fondamentalmente che la nostra difficoltà, nel rapportarci col cane in un rapporto gerarchico, stia tutta nel fatto che noi "pensiamo" a cosa sia giusto o sbagliato, mentre loro lo sanno.
Un esempio, il capobranco non si pone il dubbio se un suo atteggiamento possa frustrare un subalterno, ma anche il subalterno non ha motivi di frustrazione.
Questo perché il riconoscimento gerarchico è quasi una sorta di tabù inattaccabile e accettato visceralmente dai componenti il branco.
Siamo noi umani che, con le nostre sovrastrutture concettuali, non sappiamo collocare al giusto posto gerarchico i vari componenti della piramide.
Ma la molla che spinge loro è una molla ancestrale che implica la sopravvivenza del branco e di conseguenza della specie.
Quella che spinge noi esseri umani è una molla mediata dall'utilizzazione possibile dei vari rapporti.
Caccia, corsa, guardia, difesa o solo compagnia.
Le nostre in fondo sono esigenze sovrastrutturali e non necessarie o primarie.
Conseguentemente io non userei reazioni primarie per esigenze "sovrastrutturali", il cane non avrebbe le capacità di comprenderne la differenza, ma vedrebbe quasi una prevaricazione.
Quando dicevo che il dominante ha una risposta commisurata alla situazione, intendevo proprio questo, quello che per noi è cosa primaria, alla luce di una lente "naturalistica" tanto primaria non è. Quindi la lettura del fatto risulterebbe impossibile ad un cane che invece si muove sulla base di necessità primarie, almeno nei comportamenti portanti.
Noi dobbiamo gestire un complesso articolato di Azione/Reazione quanto più gratificante e meno frustrante per il cane al fine di instaurare un rapporto tra linguaggi, anche corporei, diversi.
E' come se dovessimo imparare una lingua straniera, spesso si dicono parolacce e offese perché non si conoscono bene tutti i vocaboli.
Infatti il nostro rapporto con il cane non solo sarà alquanto diverso da quello con i suoi simili ed anche diverso dai nostri simili.
I "Computeristi" direbbero: "interfacciarsi col cane".
Il P.t. non ha il senso del branco nel senso stretto del termine.
Troppa è l'interazione con un mondo antropomorfizzato tanto che lui ha da millenni imparato a coniugare l'istinto atavico della socializzazione in branchi a quello della convivenza quasi simbiotica con gli esseri umani.
Quindi è normale che essere capobranco per l'uomo non è solo comportarsi da capobranco con lui, ma fare sì che il suo posto in ambito familiare sia subalterno anche all'omega umano.
Faccio un esempio che ho già usato per la dominanza.
Nell'antica marineria il capitano era duro e a volte spietato e i marinai gli riconoscevano l'autorità non per bisogno, ma perchè era nella natura delle cose che il più esperto prendesse su di se la responsabilità del gruppo. Non è una posizione di comodo, ma l'accettazione di una realtà.
Negli animali selvatici è stato visto che le secrezioni di un beta, cambiano naturalmente quando, per mancanza dell'alfa, debba assumere il ruolo predominante.
Quindi non ritengo molto centrati termini quali sopraffazione, simpatia ecc...
Gli istinti degli animali sono naturalmente portati alla salvaguardia della specie e negli animali sociali la gerarchia è una "conditio sine qua non" per ottenere la maggiore resa con la minore spesa.
Quindi ritengo che l'amore, la simpatia, l'essere affezionati sono modi umani in cui noi decifriamo quelli che per lui sono atteggiamenti naturali e senza secondi fini.
Per questo che la maggiore dote di un dominante e capobranco resta la coerenza, unico punto reale di riferimento che un cane può recepire.
Le regole che il capobranco impone sono sempre un aumento di sicurezza nel branco tanto più sono fatte rispettare.
Non riesco a trovare un "interesse" nell'"amicizia" che ci dona il nostro amico.
Vedo solo un comportamento "naturalmente" conseguente al mio modo di pormi
Leandro Falschetti.
L'immagine è una nostra rielaborazione della copertina del libro "A chi serve il capobranco?" di Moreno Sartori
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