Gli attuali eventi che gravitano intorno alla razza del cane da pastore tedesco stanno divenendo sempre più gravi e confusi e tolgono convinzioni all’appassionato della razza (per favore non usate più il termine “Socio” poiché oggi, con immediato diritto al voto, lo diviene a pieno diritto, anche a sua insaputa, un solerte becchino comunale).
Sarà per la disillusione senile, sarà per la sfiducia totale, oggi sono invogliato ad ammettere che in tutte le vicende della SAS, dell’ENCI, della SV una piccola parte di ragione possono averla tutti, esclusi quelli che hanno compiuto atti delinquenziali di vario tipo. Certo c’è chi può avere maggior o minor ragione.
E’ sinonimo di grande saggezza commentare la situazione con la nauseabonda e retorica affermazione “tutto questo non giova alla razza” e, con tali apostoliche parole, i loro assertori si pongono su un trono di onestà morale e intellettuale che lascia tutti convinti. Udendole, i discepoli si guardano con complice e soddisfatta approvazione, pronti a mettere una croce sul loro nome nella cabina elettorale.
Mentre lo sfacelo è in atto, molti cercano di salvare una situazione che sta scivolando ogni giorno sempre più in basso. Tutti addebitano i suoi motivi ad interessi personali, ai Giudici corrotti o ad occasionali commercianti disonesti, prezioso pane per Legali, Cronisti, Editori, siti web.
A mio parere le ragioni di questo degrado vanno raccolte molto più addietro nel tempo tra le tante sfaccettature delle cause originali. E sintetizzarle non è semplice perché, come per ogni buona ragione, andrebbero approfondite.
Tra le tante non va dimenticato che la razza fu creata con il concorso di molte razze tra loro differenti sia per aspetto morfologico, costituzionale e comportamentale. Doti che, per ciascuna, un preciso contesto ambientale aveva selezionato. Fu l’impegno di Max von Stephanitz che volle unirle in una sola razza e, per questo progetto, usò la sua competente ed austera presenza.
Con l’andar del tempo stanno riaffiorando le antiche propensioni: chi vede nella razza un feroce ed intrepido aggressore, chi un plastico modello che suscita erezioni psichiche, chi un enorme lupo-mastino rosso e nero dotato di una ciclopica testa, chi un razzo trottatore, chi un provvido conduttore del non vedente, chi un tranquillo e docile componente della famiglia, chi un ideale conduttore del gregge, chi un meraviglioso oggetto per spillare soldi a ricchi e sprovveduti.
Inutile rammentare che il cane da pastore tedesco, nelle intenzioni originali, era ed è una razza da gregge mesocefala, mesomorfa, con impulsi medioreattivi, dotata di un movimento ampio e radente, docile, equilibrata e coraggiosa: a queste motivazioni gli attuali Grandi Tecnici oppongono il loro “colpo d’occhio”, molto spesso plasmato da suggestive emozioni piuttosto che da preziosi e difficoltosi studi della cinognostica sovente rifiutati più per indolenza che per convinzione.
Purtroppo, e dico purtroppo, le origini poliedriche della razza consentono di soddisfare le fantasie selettive di chiunque e ognuno fa vanto dei propri trionfi, raccolti qua e là nelle Manifestazioni Cinofile, per dar credito alle proprie opinioni.
Da questa situazione, senza un concreto punto di riferimento, dipartono le originali discordie e la presunzione di soffocare l’opinione selettiva avversa, permessa dalla mancanza di una verifica per un preciso impiego.
Ormai la sorte della razza è da tempo segnata e diverse Società cinofile ne ricaveranno modelli a loro ideali: ne sono riprova la nuova Società speciale riconosciuta in Germania, spinta da voglie per morsi strepitosi, in Svizzera la nuova Società speciale per la Selezione del cane da pastore tedesco bianco, come le Società speciali per soggetti a pelo lungo.
Il composito genoma della razza torna scindersi in evolute interpretazioni delle matrici originali.
Ma tutto questo agli accaniti contendenti politici poco importa spinti, spesso, dalle loro insane voglie di rivalsa da frustrazione.
Piero Alquati , 29 giugno 2009
Cominciamo dal titolo. Il “canto del cigno” di un sogno.
Il sogno è quello di Max von Stephanitz che volle creare una razza utilizzando ceppi di provenienza diversa , differenti sia per l'aspetto morfologico che per quello comportamentale, per creare quel “Leonardo da Vinci dei cani” che è il cane da pastore tedesco.
"Il cane da pastore tedesco, nelle intenzioni originali, era ed è una razza da gregge mesocefala, mesomorfa, con impulsi medioreattivi, dotata di un movimento ampio e radente, docile, equilibrata e coraggiosa".
Oggi, dice Alquati, stiamo assistendo al “canto del cigno” del sogno di von Stephanitz.
Traducendo per il becchino comunale quanto sta dicendo Alquati, von Stephanitz ha creato dal nulla la ricetta del pastore tedesco, inserendo tutta una serie di ingredienti diversi che, amalgamati insieme, rispettando le dosi indicate, hanno dato questo prodotto eccezionale; un prodotto splendido se, per comporre la ricetta, si mantengano le regole (leggi rispetto dello standard di razza) e si ricordi sempre che il pastore tedesco, proprio per la sua nascita composita, non può e non deve essere uno specialista. Se, privilegiando uno dei tanti ingredienti, si cercano variazioni alla ricetta originaria, purtroppo si ottiene ancora un prodotto “edibile” che però poco o nulla ha a che fare con il sogno di von Stephanitz.
Nascono così il cane “pastore tedesco” da lavoro spinto, il cane “pastore tedesco”da esposizione, il cane “pastore tedesco”da compagnia, seguendo le fantasie selettive di chi " vede nella razza un feroce ed intrepido aggressore, chi un plastico modello che suscita erezioni psichiche, chi un enorme lupo-mastino rosso e nero dotato di una ciclopica testa, chi un razzo trottatore, chi un provvido conduttore del non vedente, chi un tranquillo e docile componente della famiglia, chi un meraviglioso oggetto per spillare soldi a ricchi e sprovveduti".
Allevare una razza che trae la propria grandezza dalla sua poliedricità ha consentito ai …..non useremmo la parola selezionatori, ma piuttosto quella di accoppiatori.... di deragliare comodamente dai binari posti dal creatore della razza, indirizzando la selezione verso i propri precipui scopi.
Gli “accoppiatori” più abili sono anche riusciti a dare giustificazioni pseudo zootecniche alle loro derive, facendo diventare esposizioni e prove nate per “testare” il lavoro dei selezionatori delle vere e proprie gare . Il cane che arriva sul podio (podio spesso ottenuto con esasperazioni, truccando le carte o piegando il giudizio ad interessi politico-economici) è il modello da seguire, con buona pace del sogno di von Stephanitz.
Oggi, sostiene Alquati, siamo destinati ad assistere alla disgregazione del pastore tedesco, che perderà sempre più la sua connotazione originaria, per “specializzarsi” nelle varie branche.
Quello che non comprendiamo, del ragionamento di Alquati, è che, dal suo scritto, sembrerebbe che il canto del cigno fosse una sorta di destino connaturato nella natura stessa del pastore tedesco. In parole povere: se si combinano in modi e con quantitativi diversi gli ingredienti che compongono la ricetta “pastore tedesco” il risultato che si ottiene non è un disastro totale, ma comunque un cane che resta, agli occhi dei più, sempre un pastore tedesco. La condanna del nostro amato cane è quella di non essere una maionese che “impazzisce” se si sbagliano le dosi e le modalità di preparazione. Purtroppo, anche sbagliando dosi e preparazione, il prodotto finale è un simil pastore tedesco, in tutto e per tutto vendibile come tale.
Non a caso Alquati sottolinea il termine “purtroppo”: Purtroppo, e dico purtroppo, le origini poliedriche della razza consentono di soddisfare le fantasie selettive di chiunque
Ora, pur condividendo alcuni aspetti dell'analisi di Alquati, crediamo che tale interpretazione, almeno esposta in questi termini, porti con sé il rischio di far pensare che non vi siano “colpe oggettive” da parte di chi avrebbe dovuto tutelare la razza. Fatto salvo coloro che " hanno commesso atti delinquenziali di vario tipo", Alquati dice infatti che " in tutte le vicende della SAS, dell’ENCI, della SV una piccola parte di ragione possono averla tutti" . Ora, quand'anche si riferisca alle ultime vicende, una simile affermazione, se poi congiunta ad un'analisi sulla natura poliedrica della razza, potrebbe tendere a minimizzare le effettive responsabilità di chi avrebbe dovuto impedire le derive.
Lo standard di razza del pastore tedesco (come dice Salvatore Capetti, lo standard più completo e più disatteso) presenta al suo interno, sia per quanto riguarda la morfologia che per il carattere, forbici sufficientemente ampie da contenere le varie preferenze di chi ami un cane duro e combattivo, un cane maggiormente adatto alla vita di famiglia, un cane grande che appaghi l'estetica, un cane sportivo e reattivo. Il tutto senza uscire dai canoni e senza alterare gli ingredienti della ricetta originaria. Il cane che supera una prova di brevetto (il che comprende il cane che la supera con la qualifica di Sufficiente e quello che la supera con l'Eccellente), così come il cane che ottiene la selezione (di prima o di seconda classe) o il cane che morfologicamente rientri nei parametri dello standard (anche qui con le variazioni previste nelle qualifiche, da Buono ad Eccellente Auslese) sono dei pastori tedeschi a tutti gli effetti.
Sarebbe stato sufficiente il rispetto delle regole scritte e codificate da von Stephanitz. Ogni volta che ci capita di rileggere “il giudizio del cane da pastore tedesco” non possiamo fare a meno di coglierne l'attualità e la validità:
“quando un giudice mette piede in ring deve ricordarsi di essere al servizio della razza e non ai capricci della moda o all'interesse del singolo allevatore”.
Le responsabilità dei giudici, dei vari responsabili di settore, degli allevatori ci sono e non vanno né dimenticate, né condonate. Siamo, a diverso titolo, non tutti innocenti, ma tutti colpevoli. Non fosse altro per il silenzio complice di fronte alle deroghe e, ahimè, al truccare le carte, a danno della razza.
Alquati si indigna del becchino comunale che può diventare socio a pieno titolo, nulla conoscendo del pastore tedesco.
Ora, se l'indignazione è data dal fatto che possa essere socio a sua insaputa (e che quindi ci siano persone che, per motivi politici, danno vita a soci che corrispondono a persone reali, ma che sono , nei fatti, fittizi, mere deleghe di voto), condividiamo il sentire di Piero Alquati.
Se invece non convince l'idea che possano diventare soci (cioè in grado di incidere, con il proprio voto, nell'andamento della società specializzata) persone che di pastore tedesco nulla conoscono, verrebbe da chiedersi se, visti i disastri immani fatti dai grandi conoscitori e tecnici del pastore tedesco, un becchino comunale onesto e dotato di pragmatico buon senso non avrebbe fatto minor danni.
Daniela Dondero e Leandro Falaschetti, 8 luglio 2009