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Se dovessi rivelarvi qual’era il mio sogno giovanile di cinofilo,non esiterei un attimo: volevo diventare giudice.
Una volta fatta la scelta della razza e compreso che era “per sempre”,cominciai a studiare saccheggiando ogni tipo di rivista specializzata ,passando dal mitico Fiorenzo Fiorone e la sua opera omnia ad un certo Mirko Pacenko, autodefinitosi guru dell’addestramento multi-razza. Il suo motto era: ”datemi un cane e lo trasformerò nel vostro più fedele servitore. Vi seguirà ovunque, vi accenderà le luci in casa e, se necessario, terrà lontano i malintenzionati dalle vostre mogli sempre che..., diceva, non siano le vostre mogli ad andare a caccia di malintenzionati”.
Dopo essermi dissetato ad ogni fonte del sapere, cominciai,con insperati risultati e sospinto dal classico culo del principiante, la mia carriera cinofila e, proprio grazie a questa inaspettata disponibilità della buona sorte, cominciai seriamente a pensare d’essere un predestinato.
Son passati diversi lustri da quei giorni ed ho percorso la lunga filiera cinofila senza farmi mancare niente, senza salti, capriole e corsie preferenziali, cominciando da umile garzone di bottega (inviato a far monte in giro per il mondo), montatore di ring, raccoglitore di merda alla bisogna, per diventare poi operaio (segretario di sezione),operaio specializzato (responsabile sezionale dell’allevamento), impiegato (presidente di sezione), dirigente(presidente regionale), maestro (membro del comitato tecnico) e infine imprenditore meglio conosciuto come “minus quam merdam” (consigliere nazionale della società).
Dopo essermi sperimentato, direi in maniera proficua, nell’allevamento, decisi di frequentare il corso per allievo giudice SAS. L’ho fatto senza bruciare le tappe e con i giusti tempi, perché ho sempre ritenuto che, prima di andare in giro a “indicare la retta via agli allevatori”, occorresse dimostrare di essere capaci di percorrerla e che, per avere un minimo di credibilità nel giudizio, occorresse avere un buon palmares ed una “specchiata” visibilità sociale. Cioè, aldilà di ogni ragionevole dubbio, essere un galantuomo.
Per questa attività credevo di essere tagliato ed oggi ,a qualche lustro di distanza e guardando un po' quel che c’è in giro, facendo leva sulla mia “proverbiale” immodestia, lo penso ancor di più. Per essere un buon giudice non occorre essere necessariamente un “pozzo di scienza”. E’ necessario possedere due ordini di elementi: i primi che sono quelli coltivabili, allenabili e, di conseguenza, migliorabili col tempo che sono: capacità di tenuta del ring (sembrerà strano…anche in senso fisico, inteso come presenza), capacità oratorie e descrittive (migliorabili con il tempo e il mestiere sempre se si parte da una conoscenza di base della lingua italiana almeno accettabile). I secondi congeniti e, perciò, non acquisibili né, tanto meno, perfettibili. Di questi fanno parte il colpo d’occhio, l’integrità morale (forse…ricercabile) e…………………la personalità. Sui primi elementi si può lavorare, in assenza dei secondi invece e’ meglio sicuramente lasciar perdere.
Quanta supponenza questo Giangreco e quanta arroganza. Per non parlare della presunzione!!!! Ho sempre ritenuto che la falsa modestia sia peccato peggiore dell’immodestia e che ognuno di noi è ben conscio delle proprie capacità come dovrebbe esserlo dei propri limiti. Chiamo l’elettricista per avvitare una lampadina, difficilmente riuscirei a sostituire una ruota forata e guardo estasiato e con profonda venerazione chi riesce a montare i mobili Ikea. Non so cucinare e, se dovessero assentarsi tutte le mie donne per una decina di giorni, mi troverebbero al ritorno morto di stenti e privazioni. Sono un fissato dell’ordine, ma ho bisogno di qualcuno che mi segua e metta a posto tutto ciò che semino per la casa; trasformo ogni cambio d’abito in uno spogliarello sul tipo 9 settimane e mezzo. Scrivo gli articoli rapidamente, ma c’è poi qualcuno (Daniela) che…….rivede…..la veste grafica degli stessi; richiedo l’aiuto di qualche collega quando tocco un tasto sbagliato del computer che magari comincia a scrivere in rosso ,in verde o in cirillico. Riesco a naso a distinguere con percentuale d’errore pressoché inesistente un buon cliente da un cattivo pagatore, ma posso con altrettanta facilita’ scambiare un giuda per amico. Adoro il fuoco del camino ma, lo confesso, l’unica volta in cui mi sono cimentato ad accenderlo ho dato fuoco a mezzo vicinato con pezzi di cappa sparati a cento metri di distanza. Ricordo che, nell’occasione, il vicino di casa impaurito venne da me e benevolmente perplesso disse: ”Oro’ n’è arte la toa!!!!!!.Traduco: Oro’ ,non e’ cosa che puoi ‘fare tu (non e’ arte tua), fallo fare a qualcun’altro se ci vuoi fare vivere un altro po’. Ah, che grande verità: ”non e’ arte tua”. Ognuno di noi dovrebbe comprendere immediatamente quando per una cosa siamo “tagliati“ oppure no. Ah quante cose nella vita non so fare e questa non è che una minima parte dell’elenco.
Ma parliamo di Sas. Tra quel poco di buono che mi sento di salvare di questa società, per il resto ferma da ormai cinquant’anni , c’è sicuramente la figura dell’allievo giudice con tutto ciò che ad essa è collegato (figura fortemente voluta, insieme alla creazione dei raduni sezionali, da Walter Gorrieri). L’iter per la creazione di un allievo, nell’immaginario di chi lo concepì, doveva essere una sorta di praticantato, una palestra in cui reperire “talenti”, ossia gente di cui si potesse dire “il giudizio è arte sua”, dapprima scegliendoli tra tanti, poi selezionandoli ulteriormente e, infine, coltivandoli con l’affidamento nelle mani dei giudici esperti.
L’iter richiesto è lungo, dispendioso e impegnativo, così come lo sono i requisiti : essere titolari di affisso, aver ben allevato, non avere pendenze con la giustizia. Occorre poi un adeguata preparazione che consenta di superare un esame orale e la prova pratica in cui sostanzialmente si deve dimostrare di avere il famosissimo…..occhio.
Insomma, si deve far vedere che quella “è arte tua”.
Per il completamento del cammino occorrono all’incirca dai dodici ai diciotto mesi, ma, in casi disperati, anche di più. Ma perchè i casi disperati? Fare il giudice, quello sì non ce lo ha ordinato il medico.
Terminato l'iter, allora si potrà cominciare a volare da soli. Da quel momento, si girerà l’Italia in lungo e in largo battezzando i soggetti nel nome della società’, si terranno riunioni tecniche, si redigeranno giudizi, si giudicheranno campionati italiani , si controlleranno arcate dentarie e si toccheranno più testicoli di una maitresse di bordello. Alla fine del quinquennio un allievo giudice SAS di “buon richiamo” avrà giudicato qualcosa come 3000 cani, numeri che fanno di per sè impallidire anche il più quotato esperto giudice enci. E’ purtroppo di questi ultimi mesi la notizia del divieto sancito da parte dell’ENCI a persone non autorizzate preventivamente di insistere all’interno del rettangolo di gara, impedendo di fatto agli allievi giudici di poter svolgere attività di assistentato. Non c’è da stupirsi. Questa meravigliosa invenzione della SAS, una delle poche di cui andare realmente fieri, non ha mai avuto alcun riconoscimento da parte dell’ente nazionale, tanto è vero che l’essere stato allievo giudice SAS non costituisce titolo al fine della nomina ad esperto giudice. Ebbene cari soci, questo è uno dei (tanti) motivi del mio allontanamento dal consiglio. Quando mi resi disponibile al progetto che ritenevo, allora, il migliore possibile, avevo come unico intento, da me dichiarato alla prima seduta di insediamento, quello di “passare alla storia”.
Avevo in mente una società con un’agile e morigerata gestione patrimoniale, fatta di regole contabili trasparenti e con poteri di spesa affidati unicamente ai funzionari dipendenti della SAS, ai quali poter chiedere conto evitando così la scomparsa del malloppo ad ogni cambio di consiglio.
Sognavo nuove formule editoriali con una rivista online interattiva e con ampia partecipazione dei soci. Una invece cartacea con poche uscite annuali (tre di numero) ma ricche di reali significati su cui sarebbero stati chiamati a scrivere gli esperti giudici , oserei dire, obbligati, al pari dei docenti universitari ad un certo numero di pubblicazioni.
Vedevo già una società operante in completa autonomia, sia pur sotto l’egida dell’ENCI, con una sede di proprietà ,che si stampa i suoi pedigree e che si crea la “sua classe giudicante”: la SAS sceglie gli allievi sulla base di attente selezioni, li forma, li manda in giro a giudicare per 5 anni ed alla fine li nomina Esperti giudici. Il tutto sulla scorta delle indicazioni ricevute da soci e sezioni e sulla base delle impressione dei vari esperti giudici inviati con “precetto”ad osservare l’operato dell’allievo durante la gara. Alquati ,De Cillis ,Capetti, Mantellini e un domani lo stesso Musolino avranno pure la capacità di creare una classe giudicante, di erogare formazione alle nuove leve, di creare un sapere comune che è poi l’unico viatico per l’uniformità dei giudizi? Solo con una comune preparazione si può arrivare ad un comune metro di giudizio. Per dirla in soldoni, per chi ancora non vuol capirlo: Il primo in una classe con De Cillis può essere il secondo o il terzo per Capetti, non il decimo. Può variare il gusto personale, non lo standard. Questa, cari maestri, Alquati, Capetti,De Cillis ecc. è la vera sfida, affrontandola si passa realmente alla storia. Trasformarsi da umili scolaretti che eseguono il compitino al campionato e che, per questo, ottengono la bieca riverenza del socio nell’annata in cui giudicano, in “magistri” ….coloro che insegnano. Alla vostra età non conta g i u d i c a r e ,ma aggirarsi tra i ring accompagnati da uno stuolo di discepoli ammirati, quasi foste degli antichi consoli romani. Giudicare era veramente il mio grande sogno, naufragato, spero non del tutto, di fronte ad una tragica realtà. Quanti ottimi esecutori e quanti validi solisti ma il “corpo” ? E i maestri? Non abbiamo una scuola, uno stile...abbiamo solo uno sterminato campo di narcisi la maggior parte dei quali per giunta ormai appassiti e una dirigenza societaria, questa sì, giovane, che non fa nulla per creare cultura cinofila. Ho sempre guardato alla figura del giudice come a un elemento super partes, fedele depositario dello standard, severo e incorruttibile, la persona nelle cui mani è affidata la salute della razza, colui il quale la difende strenuamente da ogni tipo di deriva. E’ alla sua competenza che si affidano i soci che affrontano centinaia di chilometri ,fatiche e costi. Il suo giudizio è sentenza, cassazione. Il giudice non sbaglia ma opera scelte, consumate nell’arco di una classe. Francamente mi fanno un po’ sorridere coloro i quali alla domanda “perchè?’ “ sono soliti rispondere:”io la vedo cosi’”, come se lo standard fosse un opinione. Il giudice non è Pulcinella, poliedrico burattino nelle mani altrui, è Salomone, figlio di Davide, il giusto dei giusti dalla saggezza e imparzialità proverbiali. Il giudice non è “ l’amico”, o almeno non lo è nel campo, ma è colui che ci giudica il cane per come è e non per come vorremmo che fosse. Il giudice ha colleghi con i quali confrontarsi e ai quali rapportarsi e non soci in affari ai quali chiedere piazzamenti di scambio, il giudice mantiene sempre la propria indipendenza anche se questo dovesse significare di non essere più chiamato a giudicare dalla dirigenza. Il giudice è il maestro che insegna e che traccia un solco, indicando la via da seguire.
A chi chiede il perché di questo mio malessere posso solo rispondere: ho faticato tanto per giungere ai vertici di questa società e di questo mondo. L’ho fatto perché avevo una qualche capacità da spendere in questo settore e tutto è venuto naturale. Non ho avuto santi in paradiso e non li ho cercati. Non ho avuto “Marie o “Immacolate Concezioni” bistrattate e non sono stato discriminato; i miei cani, quei pochi che ho allevato, hanno avuto successo anche aldilà delle mie aspettative. E, in ultimo, mi è stato detto di affrettarmi e di completare l’iter di esperto giudice perché, cito, “in questo momento in ENCI abbiamo ………il vento in poppa”. Insomma, la mia strada, fossi stato più accondiscendente, avrebbe naturalmente seguito le orme degli altri “delfini”. Ma al vento nella vita non mi sono mai affidato e l’unica brezza di cui avrei bisogno in questo momento è una di quelle belli forti che mi porti lontano, via da questo mondo ……di ....cani.
Io ho conquistato il vertice di questo mondo e quello che ho “scoperto” non mi è piaciuto.
Non ho più miti nè mentori da ascoltare, ho solo la certezza che quel mondo di grandi campioni, di grandi allevatori, di storie epiche, di cani che erano leggenda ,ormai non esiste più.
Tutto è solo tarocco. Non esistono più i brevetti. Le lastre dei riproduttori sono inaffidabili ma in compenso continuiamo a raccogliere pelo per la parrucca del presidente e di quelli come me che ne necessitano. I giudici di prove li hanno divisi in buoni e inaffidabili, con i buoni pescati fra gli inaffidabili di un tempo e tra gli inventori del “sistema”. E’ inquietante poi il silenzio dei giudici esclusi dalla lista dei magnifici sette che suona quasi come ammissione di colpevolezza.
E, allora, perché diventare giudice….per dar vita a “colpi di teatro” o riempire volumi di “giangrecate”? E perche’ gareggiare? Per chi si picca (linguaggio aulico del mio vecchio insegnante di lettere) di cani e ne capisce veramente basta un colpo d’occhio nel ring per capire se qualcosa è “fuori posto” e se una camicia a quadri è stata abbinata a un pantalone a righe.
Ma, nonostante tutto, all’ambiente resto attaccato e con forza, perché abbandonarlo significherebbe lasciare tutti quegli amici sparsi in ogni angolo d’Italia con cui ho vissuto in questi anni, con cui ho condiviso gioie, aspettative, speranze, delusioni.
Però, quale senso può avere sostenere questa assurda commedia? Non so se a voi piace, può darsi pure che non ve ne siate accorti, ma io non ci sto a fare da umile comparsa per arricchire l'allestimento di uno spettacolo che ormai è diventato un varietà ….. Ai tanti che mi chiedono :”Che si fa?” rispondo: queste sono le mie idee e chi vuole insieme a me ci lavori sopra.
Che la vita ci sorrida
E noi speriamo di trovare la forza di farlo.
Oronzo Giangreco, 24 luglio 2012